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Lettere d'amore di Franz Kafka a Felice Bauer

"L'amore non è un problema, come non lo è un veicolo: problematici sono soltanto il conducente, i viaggiatori e la strada"

Kafka rifiutava la carnalità e la sua stessa corporeità. Egli stesso racconta il disgusto per il proprio corpo quando il padre accompagnandolo in piscina lo costringeva a denudarsi.
Lo stesso senso di ripugnanza egli lo esprimeva nei confronti dell'amore sessuale che descrive ad esempio ne "Il castello" come qualcosa di sporco e che riduceva l'uomo all'animalità.
Nella sua vita Kafka ebbe tre relazioni, maggiormente epistolari.
La più significativa rimase la relazione con la Felice Bauer (1887-1960), una steno-dattilografa prussiana d'origini ebraiche, la donna che liberò la forza creatrice di Kafka.
Franz Kafka, lo scrittore boemo, tra i maggiori del Novecento, incontrò Felice Bauer a Praga, in casa dell'amico Max Brod, la sera del 13 agosto del 1912.
Lui aveva 29 anni e lei 25, arrivata a Praga per lavoro.


Kafka la osservò per tutta la serata per descriverla in seguito, nella raccolta "Lettere a Felice" 1912-1917, pubblicata a cura di Erich Heller e Jürgen Born: "Non è particolarmente bella: pelle secca, dentatura irregolare, capelli atoni, naso quasi rotto, mento robusto, viso ossuto e vuoto.
Neanche il vestiario trascurato, quasi casalingo, ha qualcosa di attrattivo".

Eppure c’è qualcosa in lei che lo colpisce.

Un mese e mezzo dopo il loro primo incontro, il 20 settembre del 1912, Kafka le scrive la prima lettera:

Gentile Signorina,
- "Per il caso facilmente possibile che Lei possa non ricordarsi minimamente di me, mi presento un’altra volta: mi chiamo Franz Kafka e sono quello che per la prima volta La salutò a Praga quella sera in casa del Direttore Brod, poi le porse da un lato all’altro della tavola fotografie di un viaggio da Talia, l’una dopo l’altra, e infine con questa mano che ora batte i tasti, tenne la Sua con la quale Lei confermò la promessa di fare con lui l’anno venturo un viaggio in Palestina".

Fu un amore lungo e tormentato, con fidanzamenti, rotture, riunioni e l’addio definitivo nel 1917, dopo la scoperta di essere ammalato di tubercolosi porterà Kafka alla dolorosa rottura con l'unica donna che egli ha amato veramente.

Il 27 maggio 1913, Kafka le scriveva:

- "Siamo dunque alla fine, Felice, con codesto silenzio mi congedi e tronchi la mia speranza nell’unica felicità che mi sia possibile su questa terra.
Ma perché codesto terribile silenzio, perché nessuna parola schietta, perché ti tormenti da settimane per me, visibilmente, in modo così evidente?
Questa non è più compassione da parte tua, perché se fossi per te l’uomo più estraneo, avresti pur dovuto vedere quanto soffro di questa incertezza, al punto che talvolta perdo il lume della ragione, e non può essere compassione quella che termina con tale silenzio.
La natura procede per la sua strada, non c’è rimedio, quanto più ti conoscevo, tanto più ti amavo, quanto più conoscevi me, tanto più ti sono diventato insopportabile.

Lo avessi almeno intuito, avessi parlato apertamente, non avessi aspettato tanto fino a trovarti nell’impossibilità di farlo, fino a non poter trovare più modo di scrivermi una sola parola da un viaggio di cinque giorni, di rispondermi con un solo rigo a lettere con le quali ti chiedevo una decisione, a consolarmi in qualche maniera nella mia sventura di non aver saputo nulla di te in tanto tempo.
Ancora ieri, quando ti ho chiamata al telefono e riuscivo a capire pochissimo perché dalla felicità di sentire la tua voce troppo mi ronzavano le orecchie, mi hai detto che avevi scritto domenica sera e al più tardi oggi martedì avrei ricevuto la lettera a casa mia.
No, non c’è nulla, tu non hai scritto domenica e nemmeno lunedì dopo la telefonata, non puoi scrivere, ma non puoi neanche dire che non puoi scrivere.
Ora se penso che l’unica cosa tua, autonoma, personale che avevi da dirmi ieri è stata la domanda: "Come stai?"... Il mio cervello si sfascia.
Così non posso più vivere. Probabilmente non devo più esortarti a farlo, ma ciò nonostante ti prego espressamente, non scrivermi più, non una parola, fa come ti detta il cuore.
Anch’io non scriverò, non sentirai più rimproveri, non sarai più disturbata, ti prego soltanto di ricordare che, per quanto lungo sia il tempo del tuo silenzio, io ti appartengo alla più sommessa ma vera chiamata, oggi come sempre".
Franz

Lettera d'amore di Franz Kafka 1883-1924 a Felice Bauer

A Love Letter From Franz Kafka to Felice Bauer

11 November, 1912
Fräulein Felice!
"I am now going to ask you a favor which sounds quite crazy, and which I should regard as such, were I the one to receive the letter.
It is also the very greatest test that even the kindest person could be put to.
Well, this is it: Write to me only once a week, so that your letter arrives on Sunday - for I cannot endure your daily letters, I am incapable of enduring them.
For instance, I answer one of your letters, then lie in bed in apparent calm, but my heart beats through my entire body and is conscious only of you.
I belong to you; there is really no other way of expressing it, and that is not strong enough.
But for this very reason I don't want to know what you are wearing; it confuses me so much that I cannot deal with life; and that's why I don't want to know that you are fond of me. If I did, how could I, fool that I am, go on sitting in my office, or here at home, instead of leaping onto a train with my eyes shut and opening them only when I am with you?
Oh, there is a sad, sad reason for not doing so. To make it short: My health is only just good enough for myself alone, not good enough for marriage, let alone fatherhood. Yet when I read your letter, I feel I could overlook even what cannot possibly be overlooked.
If only I had your answer now! And how horribly I torment you, and how I compel you, in the stillness of your room, to read this letter, as nasty a letter as has ever lain on your desk!
Honestly, it strikes me sometimes that I prey like a spectre on your felicitous name! If only I had mailed Saturday's letter, in which I implored you never to write to me again, and in which I gave a similar promise.
Oh God, what prevented me from sending that letter? All would be well. But is a peaceful solution possible now? Would it help if we wrote to each other only once a week?
No, if my suffering could be cured by such means it would not be serious. And already I foresee that I shan't be able to endure even the Sunday letters. And so, to compensate for Saturday's lost opportunity, I ask you with what energy remains to me at the end of this letter: If we value our lives, let us abandon it all.
Did I think of signing myself Dein? No, nothing could be more false. No, I am forever fettered to myself, that's what I am, and that's what I must try to live with".

Franz