Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.
Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.
Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri.
"Ti ricordi?" ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
Tim Shorten |
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Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in
silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione.
Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Tim Shorten |
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.
Tu diresti "Che bello!". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.
E non diresti “Che bello! ", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.
Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo.
Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.
Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo
insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.
Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina.
E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
Questo racconto è stato pubblicato per la prima volta nel numero del marzo 1946 della rivista "I libri del giorno", successivamente ripubblicato nelle raccolte Paura alla Scala, "Sessanta racconti" e "La boutique del mistero".
Unnecessary invitations...
I wish you would come to me in a winter evening, and squeezed together behind the window panes, looking at the solitude of the dark and icy roads, I wish we would remember the winters of fairy tales, where we lived together without knowing it.
Through the same enchanted paths we passed in fact, you and I, with halting steps, together we went across forests crawling with wolves, and the same geniuses spied on us from the tufts of moss hanging from the towers, among the fluttering of ravens.
Together, without knowing it, from there perhaps we both looked towards the mysterious life, waiting for us. Therein throbbed in us for the first time crazy and tender
wishes. "Do you remember?" we will say each other, squeezing gently in the warm room.
But you - now I remember - you do not know the ancient stories of kings without name, of the ogres and the bewitched gardens. You never passed, dazzled, under the magical trees talking with human voice; you never knocked at the door of the uninhabited castle, nor walked into the night towards the distant light, nor fell asleep under the stars of the East, rocked by sacred canoe. Behind the window panes, in the winter evening, probably we will remain silent, me loosing myself in dead tales, you in other cares that I know not of. I would ask "Do you remember?", but you wouldn't remember.
I wish you to walk with me, in a Sunday of spring, the grey sky and a few of the older leaves of the year before dragged through the streets by the wind, in the suburbs. In such quarters of then rises melancholy and deep thoughts, and in those hours poetry wanders, joining the hearts of those who care about each other.
There also spread hopes that you can't tell by words, suggested by the endless horizons behind the houses by the fleeing trains, by the clouds of the north. We'll just go hand in hand, with soft steps, saying foolish things, silly and sweet, until the streetlamps will light up, and from inside the wretched buildings will spread the grim stories of the cities, the dventures, the longing for novels. And then we'll be silent, still holding hands, since the soul will speak without words.
But you - now I remember - you never told me foolish, silly and sweet things. Nor can you love those Sundays I'm talking about, neither your soul can speak to mine in silence, nor recognize the spell of cities in the right hour, nor the hopes that come down from the north. You prefer the lights, the crowd, the men who look at you, the streets where they say you can meet luck. You are different than me and if you came that day to walk, you'd complain of being tired; only this and nothing else.
I also wish to go with you in summer in a lonely valley, constantly laughing at the simplest things, to explore the secrets of the woods, of the white roads, of some abandoned houses. Stopping at the wooden bridge to watch the water passing by, listening to the telegraph poles, that long never ending story coming from one end of the world and goodnes knows where will ever go. And to rip the folwers off the meadows and here, lying on the grass, in the silence of the sun, contemplate the abysses of the sky and the white clouds that pass by, and the tops of the mountains.
You would say "How beautiful". Nothing else you would say because we would be happy; having the body lost the weight of the years, and the souls become fresh, as if they were born then. But you - now that I think of it - I'm afraid, you'd look around without understanding; you'd stop worried to examine your silk tights, asking me for another cigarette, impatient to make return.
And you wouldn't say "That's beautiful", but other poor things that I don't care about. Because unfortunately you are like that. And we wouldn't be happy, not even for a moment.
I wish as well - let me say - to go with you by my arm through the large streets of the town in a sunset of November, when the sky is pure crystal. When the ghosts of life run above the domes and gaze the black people, at the bottom of the pit of the roads, already filled with anxiety. When memories of blissfull ages and new omens pass over the land, leaving behind a sort of music.
With the naive pride of children we will look at the others' faces, thousands and thousand, flowing like rivers beside us. Without realizing it, we will glow joy, and everyone will be compelled to watch us, not for envy or malevolence; but smiling a little, with goodness in their hearts, because of the evening that heals man's weaknesses.
But you - I quite understand it - instead of looking at the crystal sky and at the aerial colonnades beaten by the ultimate sun, you'll want to stop and look at the shop windows, the jewelry, silks, all those expensive mean things. And then you wouldn't hear that sort of music, nor understand the reason why people will be looking at us with kindness in their eyes.
You would think about your poor tomorrow and in vain the golden statues on he pinnacles will raise their swords above you, towards the last rays. And I would be alone. It is useless. Maybe this is all nonsens, and you are better than me, because you don't assume so much from life. Maybe you're right and it would be stupid trying. But at least, yes, at least, I would like to see you again. Whatever happens, we will stand together in some way, and find joy. No matter whether by day or night, summer or autumn, in an unknown country, in a bare house, in a dingy inn.
It will be enough to me having you by my side. I promise I will not listen to the mysterious creaking of the roof, and I won't watch the clouds anymore, nor pay heed to the music or the wind. I'll give up these useless things, although I love 'em. I will be patient when you won't understand what I tell you, when you'll talk of facts irrelevant to me, when you'll complain about old clothes and money. There won't be the so-called poetry, the common hopes, the melancholy that often goes with love. But I will have you close.
And you'll see, we'll get to be happy enough, quite simply, just a man and a woman like it happens in every part of the world.
But you - now I think a bout it - you are too far away, hundreds and hundreds of miles. You are inside a life unknown to me, and other men are by your side, to whom you're probably smiling, like you did to me in the past. And it didn't take much to forget me. Perhaps you can't even remember my name. By now I've stepped out of you, melted away among the countless shadows.
And yet I can but think about you, and I like telling you these things.
Tim Shorten |