Francesco Ciusa was an Italian sculptor🎨.
Born in the town of Nuoro, on the island of Sardinia in Italy, his father was an Ébéniste, or cabinet maker.
He attended the Academy of Fine Arts in Florence from 1899-1903, where he had as teachers affirmed artists such as Adolfo De Carolis, the sculptor Domenico Trentacoste and the master of the Macchiaioli's movement Giovanni Fattori🎨.
He moved to Sassari Sardinia in 1904, where he knew famous artists like Giuseppe Biasi then returned to his hometown Nuoro in 1905.
He won the first prize🎨 at the Biennale di Venezia with the sculpture La madre dell'ucciso.
Five copies of the sculpture were realised, one in bronze is today exhibited at the Galleria Nazionale d'Arte Moderna in Rome, and another one in plaster is exhibited at Galleria comunale d'arte in Cagliari.
In 1913 he worked on the completion of the Cagliari's City Hall, together the artists Mario Delitala, Felice Melis and Filippo Figari.
In 1923, he focused on the production of small ceramics. In 1924 he opened a School of Art in Oristano.
In 1928 he exhibited a sculpture for the second time at the Venice Biennale.
In March 1937 he began to write his autobiography, describing his memories and visions as a child, and the ideal path of his works in the background of an ancient world.
In 1943 he was professor of design at the faculty of engineering at the University of Cagliari. He died in Cagliari in 1949. | © Wikipedia
Ciusa, Francesco - Figlio di Giacomo e di Giovanna Guidacciolu, nacque a Nuoro il 2 luglio 1883. Scultore e disegnatore, fu considerato dai contemporanei l'aedo della sua gente; come per la poesia era Sebastiano Satta, suo amico, confidente ed ammiratore entusiasta (In lode di F. C., in Canti, Milano 1962, ad Indicem), e per la narrativa Grazia Deledda.
Fin da ragazzo dimostrò passione per il disegno e la modellazione dal vero.
Rimasto orfano giovanissimo, alla fine del secolo ottenne, anche per l'intervento di Satta, un sussidio del comune per studiare all'Accademia di Firenze, dove frequentò la scuola di D. Trentacoste.
Dopo aver frequentato anche la Scuola libera (Note autobiografiche, in Il Convegno, XXII [1969], 1-2, pp. 11-37), fece ritorno in Sardegna nel 1903.
La realtà era che la scuola e la tradizione troppo rigide della città toscana non si adattavano al suo temperamento irrequieto.
Il suo linguaggio plastico, infatti, per nulla accademico, sorge e prende ispirazione dal dramma storico del suo popolo, proprio nel momento in cui questo usciva dall'isolamento.
In siffatto clima di speranza e di fervore, ravvivato da una schiera di poeti e di artisti, tra cui non si dimentichi G. Biasi, va inquadrata l'attività del Ciusa.
La madre dell'ucciso, presentata in gesso alla Biennale di Venezia del 1907 e giudicata da U. Ojetti (in Corriere della sera, 27 apr. 1907) la più importante rivelazione di quell'anno, offre una sconcertante analogia con il bronzetto dell'epoca nuragica detto La madre, che il Ciusa ignorava, allacciandosi alla tradizione culturale anticiassica sarda (E. Lussu, L'avvenire della Sardegna, in IlPonte, VII [1951], p. 962).
La donna, modellata in un blocco quasi cubico, sembra significare nella sua immobilità il destino triste dell'isola (gesso a Cagliari, palazzo municipale; e a Palermo, Civica Galleria d'arte moderna; bronzo a Roma, Gall. naz. d'arte moderna).
Lo stesso senso di rassegnazione e di fatalismo pervade altre opere come il Nomade (Biennale di Venezia, 1909), Dolorante anima sarda (Esposizione internaz. di Roma, 1911), Il Cainita (gesso: Biennale di Venezia, 1914).
Si discostano invece da queste, persino nei contenuti, pur appartenendo agli stessi anni, alcune sculture come Il pane (bronzo: Esposizione internaz. di Roma, 1908; Mostra internaz. di Bruxelles, 1909), La Filatrice, (gesso: Biennale di Venezia, 1909) e il Dormiente, un bambino in atto di sereno e sognante riposo (premio Città di Firenze, 1909; Cagliari, proprietà Mario Ciusa Romagna).
Si chiude così la prima fase dell'attività scultorea del Ciusa.
La successiva coincide con la composizione dell'Ucciso: un pastore morto, disteso in croce sul dorso delle sue pecore; il gesso fu esposto nel 1922 alla Biennale di Venezia (p. 25 del catal.) e fu distrutto da un bombardamento nel 1943.
Per le linee allungate e per l'evidente simbolismo, per il dolore più rappresentato che sentito, essa si differenzia dalla essenzialità delle prime sculture.
L'Ucciso marca il distacco del Ciusa dalle origini culturali e storiche sarde e il suo passaggio a un certo cosmopolitismo espresso in opere come Il bacio,Verso l'ideale, il Monumento ai caduti di Iglesias o La Madonna del combattente, di tono e sapore retorico.
Emergono, tuttavia, in questo nuovo clima, altre due opere significative del Ciusa: Anfora sarda (terracotta: Biennale di Venezia, 1928) e il Fromboliere, che sono a metà tra l'espressività della prima maniera e il decadentismo della seconda.
Il Ciusa fu anche un abile disegnatore. Fra i disegni a penna vanno ricordati Il Latte, Processione del venerdì santo, entrambi esposti alla Biennale di Venezia del 1920, e, tra le punte secche, I cantori.
Sue opere si conservano, a Cagliari, nella Galleria comunale, e presso la famiglia dell'artista.
Il Ciusa morì a Cagliari il 26 febbr. 1949. | © Treccani