Amareggiato dalla virulenza delle critiche, nell'agosto del 1865 Manet decise di partire per la Spagna, patria di quel Velázquez che gli aveva ispirato così tanti quadri (a tal punto che iniziò a circolare il nomignolo «Don Manet y Courbetos y Zurbaran de las Batignolas»).
Dopo aver distrutto moltissime delle sue tele in un accesso di sconforto e di rabbia, l'artista si recò a Burgos, Valladolid e Madrid, ed al museo del Prado rimase incantato dai Velázquez (pittore che poté già ammirare de visu al museo spagnolo di Luigi Filippo) e dalla collezione dei dipinti antichi, italiani e nordici.
Il soggiorno spagnolo, d'altro canto, lo deluse, in quanto si rese conto di aver idealizzato troppo la Spagna, che sino ad allora era stato uno straripante repertorio di motivi (più volte dipinse scene legate alla corrida, senza d'altronde mai averne vista una).
Per questo motivo, una volta tornato in Francia, Manet abbandonò le scene folcloristiche e si cimentò nella rappresentazione della moderna e frenetica vita parigina.
Si trattò questo di uno spartiacque assai significativo della sua vicenda artistica, come osservato dal critico d'arte Rosenthal nel 1925:
"Nel momento in cui varcò i Pirenei, Manet meditava le suggestioni offertegli dalle stampe giapponesi. Ed è per questo, per una strana coincidenza [...] che al ritorno da Madrid sembrò dire addio alla Spagna.
La tradì forse?
No. Smise, quasi completamente, di celebrarne gli spettacoli, ma le restò fedele in spirito, continuando, con mezzi più acuti, a cercare di fissarne sulla carta e sulla tela, come avevano voluto i maestri iberici, la fremente realtà" - L. Rosenthal.
I primi dipinti che eseguì dopo il rimpatrio furono Le Fifre (Il pifferaio) e L'attore tragico. Nei soggetti, dunque, non vi era nulla di anticonformistico: dopo l'ancora fresco scandalo della Colazione sull'erba e dell'Olympia, tuttavia, Manet non era più una persona gradita ai Salon, e pertanto le due tele vennero respinte senza indugio alcuno.
Il nome di Manet, infatti, era ormai stato indissolubilmente associato a quello di un offensore della morale e del buon gusto, anche se l'artista poté trovare conforto nel sostegno di illustri letterati: oltre al già citato Baudelaire, fondamentale fu l'amicizia di Émile Zola, romanziere realista che si dedicava con grande intuito e sensibilità anche alla storia dell'arte.
Zola diede prova della sua penna sferzante in un saggio apparso sulle colonne de L'événement, Manet al Salon del 1866 (già il titolo è immensamente provocatorio, siccome com'è noto i dipinti di Manet non avevano partecipato all'appuntamento). Nello scritto Zola confutò senza sotterfugi «la posizione assegnatagli di paria, di pittore impopolare e grottesco» e lodò l'«autenticità e semplicità» delle sue opere, riconoscendo in lui «un uomo che affronta direttamente la natura, che ha rimesso in discussione l'arte intera».
Nel 1867 Manet adottò una strategia diversa.
In quell'anno, infatti, si assentò volontariamente dal Salon e organizzò una mostra personale, denominata «Louvre personale», sull'esempio del Padiglione del Realismo di Courbet del 1855.
Si trattava di una vera e propria retrospettiva, con ben cinquanta dipinti, tre copie e tre incisioni, accompagnata dalla seguente dichiarazione:
«Dal 1861 Monsieur Manet espone o tenta di esporre. Quest'anno si è deciso a mostrare direttamente al pubblico l'insieme dei suoi lavori ... Monsieur Manet non ha mai voluto protestare. Anzi, è contro di lui, che non se lo aspettava, che si è protestato perché esiste un insegnamento tradizionale di forme, mezzi, immagini, pittura [...] non ha preteso né ribaltare la pittura antica né crearne di nuova».
I pregiudizi che si erano formati contro di lui, tuttavia, erano duri a morire, e pertanto la mostra dal punto di vista del consenso pubblico si rivelò ancora una volta una grandissima catastrofe.
Antonin Proust scrisse amareggiato che «il pubblico è stato impietoso. Rideva dinanzi a quei capolavori. I mariti portavano le mogli al ponte dell'Alma. Tutti dovevano offrire a sé stessi e ai loro cari quest'occasione rara di ridere a crepapelle».
Questo «concerto di pupazzi deliranti», ovviamente, fu ancora una volta sobillato dalla critica, ancora restia a dimenticare lo scandalo della Colazione sull'erba e dell'Olympia.
Nonostante tutti questi attacchi Manet trovò degli ardenti estimatori in Monet, Pissarro, Renoir, Sisley, Cézanne e Bazille: con questi giovani, anche loro insofferenti alla pittura ufficiale del tempo e alla ricerca di uno stile fluido e naturale, l'artista iniziò a riunirsi al Café Guerbois, un locale parigino al n. 11 di rue des Batignolles.
A partecipare a questi convegni vi era anche una giovane donna di famiglia benestante, Berthe Morisot, che si inserì varie volte nell'autobiografia pittorica di Manet, a partire dal celebre dipinto Il balcone.
Nel frattempo, ancora ferito nel profondo dal cocente fiasco del Louvre personale, l'artista ritornò ad assoggettarsi alla via ufficiale del Salon, incoraggiato dalla presenza in giuria di Daubigny, celebre pittore di Barbizon, e di una gestione più liberista delle nomine.
Di questi anni sono alcuni quadri a tema storico, seppur di eccezionale contemporaneità: Il combattimento tra il Kearsarge e l'Alabama (1864) e L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano (1868). | Fonte: © Wikipedia
Édouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 - Parigi, 30 aprile 1883) è stato un pittore Francese, considerato il maggiore interprete della pittura pre-impressionista.
Édouard Manet è considerato uno dei più grandi pittori di tutta la storia dell'arte.
Egli, pur rifiutando di aggregarsi al gruppo dei Realisti e - successivamente - di esporre insieme agli Impressionisti, fu un fondamentale trait d'union fra il Realismo e l'Impressionismo: si trattò di un episodio assolutamente unico, indipendente da qualsivoglia movimento, ma che giocò un ruolo chiave nell'aprire la strada alla pittura contemporanea.
Come osservato dal critico Georges Bataille nel 1955:
«il nome di Manet ha, nella pittura, un senso a parte. Manet [...], in rotta con quelli che l'hanno preceduto, aprì il periodo in cui viviamo, accordandosi con il mondo di oggi, che è il nostro; in dissonanza col mondo in cui visse, che egli scandalizzò».