Arnold Böcklin (1827-1901) è stato un pittore, disegnatore, scultore e grafico Svizzero, nonché uno dei principali esponenti del simbolismo tedesco.
Dalla Svizzera all'Italia
Arnold Böcklin nacque il 16 ottobre 1827 a Basilea, figlio di Christian Friedrich Böcklin, noto mercante della seta nativo di Sciaffusa, e di Ursula Lipp, celebre discendente di una famiglia che annoverava tra i propri avi Johann Jacob Lippe e Hans Holbein il Giovane.
Inizialmente destinato a seguire le orme paterne, grazie all'intercessione della madre e del poeta Wilhelm Wackernagel (professore al ginnasio e all'università di Basilea) il giovane Arnold fu in grado di assecondare la sua più autentica vocazione artistica, andando nel 1845 a studiare all'Accademia di Belle Arti di Düsseldorf.
Qui ebbe come insegnante il pittore Johann Wilhelm Schirmer, uno dei maggiori interpreti del tempo della cosiddetta pittura eroico-panoramica, che in lui trovò un apprezzato autore di paesaggi densi di colore e di luce.
Come osservato dallo storico dell'arte Heinrich Wölfflin «presso Schirmer a Düsseldorf la tendenza verso il grande paesaggio eroico ha ricevuto un particolare nutrimento. Giganteschi gruppi di alberi, pianure maestose, linee di montagne italiane con il loro tranquillo respiro riempivano la fantasia. Tuttavia il pathos un po' generico di Schirmer non bastava a Böcklin».
L'alunnato del Böcklin presso lo Schirmer durò fino al 1847, anno in cui Böcklin si recò insieme al condiscepolo Rodolf Koller a Bruxelles ed Anversa per ammirare i dipinti dei grandi maestri fiamminghi e degli olandesi del Seicento, rimanendone fortemente impressionato.
Seguì un viaggio nella natia Svizzera, dove Böcklin - che, giova ricordarlo, aveva sviluppato una naturale inclinazione per la pittura di paesaggio - ebbe modo di incontrare la forza evocativa delle Alpi, da lui omaggiate con dipinti dal sapore friedrichiano.
Arrivò persino ad installarsi a Ginevra, seguendovi i corsi di Alexandre Calame, rinomato pittore di paesaggi alpini.
L'apprendistato con quest'ultimo, tuttavia, si rivelò essere sterile ed inconcludente, sicché il giovane Arnold decise di recarsi a Parigi, città in quell'epoca satura di fermenti artistici.
Böcklin rimase certamente colpito dall'innovativo cromatismo delle opere di Delacroix e Corot, o anche dalla bellezza de I romani della decadenza, quadro di Couture che nel 1847 aveva suscitato ammirati plausi nel pubblico del Salon. Ma furono in particolar modo la vastità e la solitudine del tessuto urbano Parigini e, soprattutto, la tumultuosità della rivoluzione francese del 1848 a lasciare un'impronta indelebile nel suo animo.
Con gli avvenimenti politici che gli remavano contro Böcklin non poté che fare ritorno, profondamente amareggiato, nella natia Basilea.
Qui, tuttavia, ebbe modo di approfondire la sua amicizia con Jacob Burckhardt, storico del Rinascimento italiano e della cultura europea, che persuase il suo amico pittore a recarsi in Italia per recuperare l'autenticità della pittura rinascimentale.
Fu così che, seguendo una tradizione vigente tra gli aspiranti pittori ormai consolidatasi da decenni, nel febbraio 1850 Böcklin si stabilì a Roma, percependovi finalmente quella linfa artistica che sarà da impulso incessante per tutta la sua carriera da pittore.
Nell'Urbe, infatti, Böcklin venne a contatto con le leggendarie tradizioni dell'Antichità e del Medioevo e con il ricchissimo patrimonio artistico del Rinascimento. Ancora più forte, tuttavia, fu l'impatto con i paesaggi del tedesco Franz Dreber, all'epoca residente a Roma, e con la maestosa natura laziale.
Böcklin amava immergersi nei paesaggi della Flaminia, del Formello, di Olevano, della valle del Pussino, della valle Egeria e della zona detta dei Due Ponti, senza per questo disdegnare i paesaggi che si potevano ammirare una volta usciti da piazza del Popolo: non esitò, inoltre, ad immortalare il patrimonio naturalistico laziale in quadri che, seppure appartenenti agli esordi, colpiscono per l'efficace cromatismo e per la semplicità e chiarezza dei volumi.
Fu proprio durante il soggiorno romano che Böcklin iniziò a informare i primi, fondamentali orientamenti di gusto (dei quali si parlerà più approfonditamente nel paragrafo Stile), anche grazie al discepolato con il Dreber, il più celebre dei «tedeschi di via Ripetta», con il quale era accomunato da una solidarietà stilistica talmente elevata che i due progettarono persino di realizzare un quadro insieme sull'esempio degli antichi maestri.
Il progetto tuttavia non venne mai attuato siccome tra il Dreber e il Böcklin iniziarono a correre amari dissapori. Se Böcklin, infatti, era totalmente immerso nella sua vocazione ed era impegnato a risolvere un'inquietudine creativa per la quale era indispensabile una devota erudizione artistica e letteraria, Dreber «invece di coltivare sé stesso con opportune letture» preferiva bighellonare all'osteria con gli amici, criticando per di più il ricco cromatismo dei dipinti dell'amico.
Stile
Un simbolismo mitologico
Arnold Böcklin è stato uno degli esponenti più maturi e convinti del Simbolismo in pittura. Egli, infatti, fu animato dal proposito di superare le poetiche naturalistiche del Realismo e dell’Impressionismo non dal punto di vista scientifico (si considerano, in tal senso, le esperienze divisioniste) ma da quello spirituale.
Era opinione dei Simbolisti, e di Böcklin in particolare, che lo scopo dell'arte fosse quello di rivelare mediante l'utilizzo di un linguaggio non più logico, ma analogico quella realtà «altra» che si cela dietro quella immediatamente percepibile con l'uso dei sensi e della ragione, rivelando dunque le magiche possibilità offerte dall'esplorazione della realtà psichica delle cose con un utilizzo accorto di «simboli», per l'appunto.
I simboli prescelti da Böcklin sono d'ispirazione mitologica e indagano il mondo dell'interiorità in modo particolarmente evocativo.
La fisionomia artistica di Böcklin, tuttavia, è molto complessa, tanto da aver subito una notevole evoluzione stilistica e tecnica.
Negli esordi, infatti, Böcklin subì il fascino del Naturalismo, realizzando paesaggi dove si sente «istintivamente trascinato ad immergere nella verità quei motivi classici che non avevano mai cessato di attrarre i pittori-viaggiatori», orchestrando un potente fraseggio di luci e di ombre e privilegiando non più le ore crepuscolari, incerte, volatili e dense di riflessi rossi, lividi o rosati, bensì le ore meridiane e, soprattutto, pomeridiane, quando «nella luce accecante e calda l'intensità del verde si incupisce, mentre tutti gli altri colori acquistano una forza timbrica che si imprime nella retina in modo diretto e prepotente» (Volpi), conferendo dunque maggiore verosimiglianza e vitalità al soggetto rappresentato.
Nell'evocazione delle campagne laziali, costellate di rovine antiche e di alberi secolari che svettano maestosi nel cielo, Böcklin poi concedeva frequentemente ampio spazio ad un lirismo elegiaco che ricorda molto da vicino i brani paesistici di Poussin e Lorrain.
L'amico Burckhardt, nella sua Guida al godimento delle opere d'arte in Italia, fornisce una descrizione della pittura antica che indirettamente riecheggia gli stilemi degli esordi di Böcklin:
«Questo tipo paesistico, introdotto da Annibale Carracci ed elaborato dai due Poussin, restò per lungo tempo predominante nella pittura, così come gli olandesi col loro paesaggio più realistico rimasero in una - sia pure gloriosa - minoranza. Esso rappresenta una natura vergine, in cui le tracce dell'attività umana appaiono soltanto come edifici, principalmente come ruderi di epoche remote, ma anche come semplici capanne. Il genere umano che qui può vivere [...] appartiene al mondo delle leggende antiche e della storia sacra e pastorale, nell'insieme l'impressione che si ha dunque di questi quadri è di carattere eroico-pastorale» - Jacob Burckhardt.
Ben presto, tuttavia, Böcklin sentì di aver esaurito le possibilità creative della sua pittura di stampo «poussiniano» e, spinto da una sollecitazione di natura inconscia, approdò a uno stile visionario, animato da una fertile vena fantastica, che è poi quello che lo ha reso universalmente celebre.
Una volta tornato in Germania, Böcklin arrivò finalmente a infrangere le regole di quel classicismo apollineo, limpido e armonioso che aveva sino a quel momento furoreggiato nelle arti figurative (e, si può dire, anche nella sua arte).
Da quel momento in poi, anzi, plasmò con paziente artigianato un mondo inedito, stravagante, folclorico, dove la Natura diventa finalmente evocativa, letteraria, potenziata in tal senso da contenuti mitici ed allegorici. Ecco, allora, che i quadri di Böcklin si popolano di tritoni, naiadi, ninfe, driadi, ma anche di divinità silvestri, satiri, sileni e centauri.
Queste creature immaginifiche, tutte cristallizzate in una dimensione onirica e surreale, si immergono senza freni in una natura inebriante ed orgiastica non più avvilita dalla presenza dell'uomo, bensì animata da una straordinaria forza vitale.
In questa codificazione estetica della natura, dove trovano espressione sia le radici nordiche dell'artista, sia la solarità di quell'altrove mediterraneo con il quale egli si era proiettato con vigoroso slancio tanto negli esordi quanto nella maturità, trovano giustificazione e sfogo non solo l'impeto delle emozioni e delle pulsioni, ma anche il dramma della vita e della morte, ossessivo richiamo di molte opere böckliniane (primi fra tutti proprio l'Isola dei Morti e il celebre Autoritratto con la Morte che suona il violino).
Il colore
Altra cifra stilistica fondamentale dell'arte di Arnold Böcklin è il suo sfrenato colorismo, al quale tutto è subordinato, anche il disegno e la composizione. L'energia creativa di Böcklin, oltre che nella scelta dei temi, si concretizza infatti anche nell'adozione di una tavolozza smagliante, volta a ricercare le alchimie che determinano la purezza dei colori, i veri e unici motori immobili della pittura.
Era obiettivo del Böcklin evitare lo sfumato leonardesco, che smorzava le gradazioni cromatiche rendendole prive di luminosità, e sperimentare nuove tecniche che esaltassero le qualità luministiche intrinseche dei colori, nel tentativo di animarli dello stesso bagliore vitale che percepisce l'occhio umano quando li vede.
«Che cos'è la massima luce in un quadro in confronto alla luce splendente che cade sulla sua cornice dorata? Che cos'è il più luminoso arancio, il più luminoso di tutti i colori? Improvvisamente diventa oscuro e sporco se su di esso cade una scintilla di sole al tramonto» osservò a tal proposito il pittore.
Non a caso Böcklin rivelò fervorosamente il suo entusiasmo per i dipinti murali di Pompei, ammirati al Museo Archeologico di Napoli, e per l'Augusto di Prima Porta, rinvenuto nel 1863 con la sua originale coloritura, poi rimossa (com'è noto, infatti, i Greci ed i Romani coloravano le proprie statue).
La ricezione dell'esempio classico sollecitò Böcklin ad indagare le tecniche e i procedimenti segreti degli antichi maestri, manipolando le componenti chimiche dei pigmenti e sperimentando emulsioni, supporti di legno, tempere («Il grande pittore di Basilea ha infatti sempre dipinto a tempera ed è stato un appassionato ricercatore di tutti i segreti riguardanti questo modo di dipingere», ha osservato in tal senso il celebre pittore metafisico Giorgio De Chirico).
I colori dei quadri di Böcklin, in effetti, sono luminosissimi, sonori e profondi, e contribuiscono in un certo senso ad accentuare il carattere surreale delle rispettive composizioni.
Significativo, in tal senso, il commento di Julius Meier-Graefe:
«Forse nessun pittore di qualsiasi epoca si è occupato così a fondo del colore come Böcklin, non soltanto del colore sul quadro, ma anche sulla tavolozza [...] Egli dipinse superfici più splendenti di qualsiasi altro pittore del suo tempo, possiamo dire anche degli antichi, presso i quali lo splendore della superficie era considerato parte integrante del quadro, e la cui educazione era indirizzata verso questo risultato. Se tagliamo un pezzo di un dipinto di Böcklin e un pezzo di un dipinto di Giorgione, quello di Böcklin, lo vedrebbe anche un bambino, è più splendente, più ricco di colori, più smagliante».
Il colore di Böcklin, sia perché preparato artigianalmente sia perché attira l'occhio con un «risultato pittorico risucchiante», è ben distante dall'immediatezza del plein air in quei tempi decantato dagli Impressionisti e piuttosto «penetra nella psicologia in modo, per così dire, più musicale che visivo ed il carattere timbrico richiama l'arte dei primitivi» (Volpi).
Come emerge dalla precedente osservazione di Marica Volpi dal vivace cromatismo delle opere di Böcklin scaturiscono innegabili qualità musicali.
Lo stesso Böcklin si interessava di musica e il suo orecchio era talmente fine da consentirgli di ripetere una melodia anche dopo averla ascoltata una sola volta: egli, inoltre, si dilettava con il flauto traverso, il tamburo e l'armonium. | Fonte: © Wikipedia