In un articolo pubblicato il 16 settembre 2004 sul New England Journal of Medicine, Margaret S. Livingstone, docente di neurobiologia della facoltà di medicina dell'Università di Harvard, suggerisce che Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), i cui occhi sembrano avere avuto un difetto nell'allineamento della vista, soffrisse di "perdita di stereopsi", una condizione in cui risulta difficile o impossibile percepire correttamente la profondità.
La studiosa è giunta a questa conclusione osservando 36 autoritratti dell'artista.
Dato che egli non possedeva una normale visione binoculare, il suo cervello automaticamente sceglieva di utilizzare un solo occhio per l'osservazione.
Questa particolare disabilità potrebbe avergli fatto percepire come fossero piatte molte delle immagini che vedeva, agevolandolo poi nel trasferirle sulle bidimensionali tele.
Secondo la Livingstone questo potrebbe essere stato un vantaggio per un grande pittore come lui perché "Gli insegnanti d'arte spesso dicono agli studenti di chiudere un occhio per percepire come piatto ciò che osservano".
Perciò, la "perdita di stereopsi" potrebbe non essere un handicap - ma anzi rivelarsi un vantaggio - per alcuni artisti".
Questa teoria presenta però aspetti criticabili perché tra le più grandi qualità di Rembrandt c'è l'abilità di riprodurre l'illusione del volume, la percezione del quale richiede una normale capacità di visione.
Victor Hugo, ne I Miserabili, nei capitoli dove mette in scena la battaglia di Waterloo, colloca Rembrandt tra i pittori che "hanno il caos nel pennello" aggiungendo, con intenti esemplificativi che, "per dipingere una battaglia, [...] Rembrandt vale meglio di van der Meulen".