Nel 1870, Edgar Degas indirizzò questa lettera - pubblicata sul quotidiano Paris-journal - alla giuria del Salon, in cui delineava proposte radicali per eliminare l'affollata sospensione di quadri dal pavimento al soffitto del Salon.
"Ai signori giurati del Salon del 1870,
suvvia, signori della giuria, non scoraggiatevi. Non avete ancora finito. Eccovi dunque padroni di organizzare un’esposizione. Si dice che siate molto imbarazzati. Dio sia lodato! L’amministrazione lo era ancor di più e da molto più tempo.
Eppure ha continuato. C’è una cosa a cui ogni espositore ha indiscutibilmente diritto e di cui non si è mai parlato nei progetti scritti e nei conciliaboli: una collocazione di suo gradimento. Questo già accade nell'industria. Un calzolaio, nel piccolo spazio che ottiene, espone la propria merce come vuole. Un pittore no.
Non è lo spazio che manca: si può montare e smontare questo palazzo costruito in ferro e sottili tramezzi, come un teatro. Di soldi, ne servono pochi per una festa così semplice, e le entrate ci sono. Il vostro tempo, la vostra attenzione, e un po’ del vostro senso del dovere, signori, ecco quel che occorre.
Cochin, l’incisore, fu sovente, nel secolo scorso, l’arazziere delle esposizioni. Diderot gli diede questo nome, che, a quanto pare, è andato perduto. Riprendetelo.
Ho l’impressione che l’organizzazione del Salon richieda qualche cambiamento. In tutta coscienza, voi potreste farlo. Un paio di voi, una volta decisa la cosa, verrebbero delegati al controllo.
Degli imprenditori di feste pubbliche, Belloir et Godillot ad esempio, sarebbero forse onorati di esser scelti come esecutori, in collaborazione con l’amministrazione delle belle arti. Io, signori, vi sottopongo queste proposte in tutta semplicità.
Non mettere che due file di quadri e lasciare tra loro un intervallo di almeno 20 o 30 centimetri, senza il quale ci si darebbe fastidio a vicenda.
Sistemare in qualche sala destinata ai disegni quelle opere che la proposta sopra indicata sacrificherebbe.
Disporre grandi e piccoli pannelli, come hanno fatto gli inglesi all’Esposizione universale, per esporre i disegni rimanenti e distribuirli nelle due grandi sale, usate ora come deposito, od altrove. Avete già potuto constatare come questo semplice metodo sia efficace.
I disegni sarebbero tolti dal loro deserto e mescolati ai quadri, ed è ciò che meritano. Credo anche che su questi pannelli, nelle sale ordinarie, mettendo le panche più lontane, ci sarebbe posto per un buon numero di quadri.
Leighton, che deve affrontare, in Inghilterra, la stessa situazione di Cabanel da noi, aveva un quadro posto su un pannello, e non aveva per niente l’aria di essere un affronto.
Chiunque esponga avrà il diritto, dopo qualche giorno, di ritirare la sua opera; poiché nulla lo deve costringere a lasciare esposto qualcosa di cui si vergogna e che gli nuoccia.
E poi, non è una gara. La simmetria non ha nulla a che vedere con un’esposizione. Dopo un ritiro, non resterà che avvicinare i quadri rimasti. Credo che questi pochi giorni siano un tempo giusto, dopo non dovrà esser più permesso togliere nulla.
Con solamente due file di quadri, accadrà questo: l’espositore designa una delle due file su cui vuole essere esposto. La cimasa, la detestabile cimasa, fonte di tutte le nostre discordie, non sarà più un favore, un ordine del caso. La si sceglierà per un certo quadro e se ne farà a meno per un altro. Un dipinto è fatto per essere visto in alto, un altro per essere visto in basso.
Com’è noto, la metà dei quadri che richiedono, per le loro dimensioni, la cimasa, misura con la cornice forse un metro, o anche meno. Scegliendo la seconda fila, si chiederà molto semplicemente di esser messi a 2 metri o 2 metri e mezzo d’altezza.
I grandi marmi, il cui peso e i cui spostamenti non sono cose da poco, possono restare in basso; ma, vi supplichiamo, distribuiteli senza simmetria. Quanto a medaglioni, busti, piccoli gruppi, ecc., vanno messi in alto, su mensole o su pannelli. Se lo spazio abituale non basta, fate aprire altre sale. Non si saprebbe più rifiutarvi nulla.
Potrei continuare.
È corsa voce che voi stavate dividendo i quadri in tre categorie: la prima messa sulla cimasa, la seconda sopra di essa, la terza ancora più in alto. Non è un brutto scherzo, vero?
Signori, sappiate che ci aspettiamo molto, e soprattutto qualcosa di nuovo, da voi. Non è possibile essere mal serviti dai propri confratelli. L’arte in sé ha ben poco da fare in un’esposizione così vasta.
La curiosità del pubblico, che è stupido e saggio ad un tempo e che anzitutto deve esser lasciato libero, è la sola cosa di cui dovete preoccuparvi, per rispetto verso di esso e verso di noi: noi siamo lì solo come suoi umili servitori.
Insomma, una volta soddisfatto il vostro amor proprio di giudici, siate dei buoni arazzieri.
Gradite signori, ecc"