Hans-Joachim Staude (1904-1973) is one of the most interesting (and in some ways most “eccentric”) German painters of his generation.
Yet his oeuvre is still not sufficiently known, especially in Italy where he lived and worked almost his entire life in the city of Florence.
What is lacking is a more detailed critical analysis of his close relation with Italian Novecento painting, from Ardengo Soffici to Felice Carena, in the context of modern classicism in European art between the wars.
A connection that makes the artist one of the “most Italian” of 20th-century German painters.
Born in 1904 to German parents in Port-au-Prince (Haiti), Staude is educated in Hamburg, where he attends the first big Munch exhibition in 1918.
He immediately connects with the German Expressionism of the “Die Brücke” group, and especially with Karl Schmidt-Rottluff.
During these years, his development is underscored by introspection and a philosophical perspective.
In 1920 he resolves to dedicate himself entirely to painting and in 1922 he abandons Expressionism.
In 1925 he moves from Hamburg to Florence and spends the following years in the Tuscan capital, in Hamburg and in Paris.
In 1929 he finally settles in Florence, where his work is influenced by the “modern classicism“ of Italian art in the 20’s and 30’s, and where he dies in 1973.
During this early Florentine period Staude produces a series of figures of intense plasticity that seem more sculpted than painted.
He also paints a sequence of traditional landscapes, going beyond the momentary effect of Impressionism and almost stepping out of time.
His series of still-life paintings reveal his German cultural influence with symbols of the ephemeral and of death.
What sets the artist apart is his introverted but intense colour with elegiac and lyric allusions. His Expressionist formation renders his paintings different and even unique in a period, which focused on drawing rather than on colour.
After the war Staude remains consistent in his development.
He is still firmly anchored to his peculiar figurative language, eluding the new informal and abstract tendencies.
Yet his compositions reveal a continuous desire for the essential with colour becoming increasingly effusive. | Francesco Poli, Elena Pontiggia
Hans-Joachim Staude è un pittore Tedesco tra i più interessanti - e in un certo senso “eccentrici” - della sua generazione.
La sua ricerca, però, non è ancora conosciuta come dovrebbe, in particolare in Italia, dove ha vissuto e lavorato a Firenze.
Manca uno studio criticamente più puntuale della sua stretta connessione con la pittura del Novecento Italiano, da Ardengo Soffici a Felice Carena, nel quadro del classicismo moderno dell’arte europea fra le due guerre: un rapporto profondo, che rende l’artista uno dei più “italiani” fra i pittori tedeschi del XX secolo.
Nato a Port-au-Prince (Haiti) da genitori tedeschi, Staude si forma ad Amburgo, dove nel 1918 vede la prima grande mostra di Munch.
Subito dopo entra in contatto con l’Espressionismo tedesco della “Brücke” ed in particolare con Schmidt-Rottluff.
La sua ricerca è segnata in questo periodo da una sottile dimensione introspettiva e da una forte ispirazione filosofica.
Nel 1920 decide di dedicarsi alla pittura e nel 1922 abbandona l’Espressionismo.
Nel 1925, dopo un periodo trascorso ad Amburgo, parte per Firenze e negli anni successivi si divide tra la città toscana, Amburgo stessa e Parigi.
Nel 1929 si stabilisce definitivamente a Firenze dove lavora tutta la vita, avvicinandosi alla “moderna classicità” dell’arte italiana fra le due guerre.
Sono di questi anni, e del decennio successivo, una serie di figure di intensa plasticità, quasi scolpite più che dipinte; una serie di paesaggi eseguiti alla maniera classica, che superano il senso dell’attimo propria dell’Impressionismo ed escono dal fluire del tempo; una serie di nature morte, in cui la cultura tedesca di Staude riaffiora con l’introduzione di simboli dell’effimero e della morte.
Tipico dell’artista è un colore introverso ma intenso, dalle valenze elegiache e liriche.
La formazione espressionista, pur superata, rende i suoi dipinti diversi e per certi aspetti unici nel panorama del periodo, più attento al disegno che al colore.
Anche nel dopoguerra Staude continua con grande coerenza la sua ricerca, rimanendo ancorato alle sue peculiari problematiche figurative, ed eludendo l’informale e l’astrattismo.
Tuttavia si avverte nelle sue composizioni un sempre maggiore desiderio di essenzialità, mentre il colore acquista una dimensione sempre più effusiva. | Francesco Poli, Elena Pontiggia