Francesco Galante (1884-1972) è nato a Margherita di Savoia, in provincia di Foggia, il 4 nov. 1884 da Michele e Carmela Raffaella Lopez, si trasferì ben presto a Napoli dove, dal 1896, frequentò l'Istituto di Belle Arti. Fu allievo di M. Cammarano e V. Volpe e concluse gli studi nel 1904 ricevendo il primo premio🎨 sia per la figura dipinta sia per il paesaggio. Studente, collaborò a vari giornali napoletani come illustratore: nel 1904 fu, con Alberto Martini, tra i primi collaboratori della rivista milanese Varietas e nel 1911 illustrò articoli di F. Russo per un'altra nota rivista di Milano, La Lettura.
Proseguiva intanto la sua collaborazione a numerosi periodici napoletani: si segnalano, in particolare, le illustrazioni delle trame dei film per La Rivista foto-cinematografica (1910-15) e quelle per il volume di B. Croce, Un angolo di Napoli (1912), nonché le vignette umoristiche comparse in due riprese sul settimanale Sei e ventidue (1913-14 e 1922-23).
È stato notato che la fisionomia del Galante illustratore si definì "per un nuovo rapporto tra linea e colore: ampie zone di colori puri venivano delineate da doppi segni di contorno in linea con il più aggiornato gusto franco-belga, mentre in altri casi sembrava invece prevalere la preferenza per il tratto sottile ed elegante essenzialmente decorativo e liberty" (Salvatori, 1986, p. 186).
Anche nell'attività pittorica, avviata parallelamente a quella grafica, il Galante s'inserì fin dagli anni Dieci in un discorso figurativo di respiro europeo, com'è evidente nella pennellata sfrangiata, di sapore impressionista, riconoscibile in talune sue prime opere: Giuliana, quadro presentato nel 1909 alla I Esposizione nazionale di belle arti della città di Rimini; Ascoltando (Napoli, collezione privata), intitolato anche Impressione della moglie, sempre del 1909; I bagnanti del 1911, anch'esso in collezione privata a Napoli.
Tuttavia, tale tendenza venne presto a convivere con una sostanziale predilezione per un intimismo di atmosfere, tematiche e spunti decorativi: come nella tempera L'attesa (1912 circa: Napoli, collezione privata) oppure nell'Attrazione del 1914 (ibid., Circolo artistico politecnico), per la quale si sono evocate suggestioni Nabis (Ricci, 1981, p. 84). Accanto a queste va ricordata un'altra componente del linguaggio giovanile del Galante, rappresentata dalla pittura dello svedese Anders Zorn🎨, uno di quei pittori, per così dire, "ufficiali", la cui fama era consacrata in Italia dalla Biennale di Venezia.
La cultura del Galante, in questi anni, non si discosta da quella comune a molti artisti della sua generazione, variamente orientati verso le correnti moderniste nella ricerca di una maggiore autonomia rispetto all'ambiente tradizionale.
Già presente dal 1904 alle mostre della Promotrice Salvator Rosa di Napoli (presso cui avrebbe continuato a esporre fino agli anni Quaranta), nel 1909 egli aderì alla "Secessione dei ventitré", un gruppo che, già nel nome, intendeva riferirsi ai movimenti di Monaco (1892) e Vienna (1905), al cui interno si raccoglieva una trentina di giovani pittori, scultori e grafici partenopei, tra i quali E. Curcio, E. Pansini, Galante Ricchizzi, R. Scognamiglio ed E. Viti.
Con questi il Galante organizzò, sempre nel 1909, la I Esposizione giovanile a Napoli, dove presentò, oltre al dipinto Giuliana, il trittico Marechiaro e, nella sezione "bianco e nero", Malinconia (ubicazione ignota). Nel medesimo anno partecipò al Salon d'automne di Parigi e alla LXXIX Mostra romana della Società amatori e cultori di belle arti, ove espose Marechiaro e Studio (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna); nel 1910 esordì alla Biennale di Venezia, rassegna che lo vedrà presente sino alla XIII edizione (1922).
Nel 1911 il Galante fu impegnato a decorare il salone centrale del padiglione della Campania, Basilicata e Calabria all'Esposizione etnografica del cinquantenario tenutasi quell'anno a Roma. Nella capitale l'artista tornò due anni dopo per partecipare alla I Mostra della Secessione romana.
Docente nell'Istituto statale d'arte di Napoli per la sezione arti grafiche (a partire dal 1914 e fino al 1957, anno del suo pensionamento), il Galante cominciò in questo periodo a prendere le distanze dal movimento secessionista, allineandosi con le posizioni tradizionaliste prevalenti in seno al Circolo artistico politecnico, di cui era socio già da tempo e del quale sarebbe rimasto anche in seguito uno degli esponenti più autorevoli (il Circolo conserva varie sue opere, oltre a una sovrapporta dipinta nel 1927).
Dopo la parentesi bellica trascorsa al fronte, riprese l'attività espositiva nel 1919 (Esposizione internazionale di Torino e I Mostra "La Floridiana" di Napoli). Nel 1921 prese parte a Napoli alla Mostra d'arte dei grigio-verdi e alla I Biennale nazionale d'arte.
Nelle opere esposte in quest'ultima occasione (Ingenua, Graziella e Gli sposi, ripr. in Guida, 1921), come anche nel Ritorno da Montevergine del 1920 circa (Napoli, collezione Lubrano), si possono già riscontrare quelle tendenze decorative e quelle concessioni al folcloristico, in cui si avverte una lontana eco della pittura di E. Dalbono, destinate ad accentuarsi nella produzione successiva.
All'Esposizione nazionale d'arte primaverile di Firenze del 1922 il Galante presentò un cospicuo numero di tele, attraverso le quali dimostrò di procedere ancora sulla strada precedentemente intrapresa: particolarmente indicative, Le amiche del 1921-22 (anch'esse nella collezione Lubrano), per le pennellate sfilacciate che costruiscono le figure, avvolte nella penombra qua e là interrotta da "impercettibili vibrazioni luministiche" (Brancaccio, 1986, p. 87), e Ischia, ultimo sole (1922), di proprietà del Municipio di Napoli, per l'originale taglio compositivo determinato dall'"orizzonte molto alto che tende ad appiattire la prospettiva" (ibid.).
Queste scelte stilistiche continuarono ancora per qualche anno a caratterizzare i lavori del Galante, prima della svolta novecentista degli anni Trenta, di cui può citarsi ad esempio la Giovinetta del 1934 circa (Roma, Patrimonio artistico del Quirinale) che, tuttavia, attesta la fedeltà del pittore alle atmosfere intimiste e ai sottili effetti luministici.
In questo periodo la figura dell'artista acquistava prestigio, come testimoniano la carica di membro della Commissione nazionale per la difesa dei monumenti, del paesaggio e dell'estetica edilizia (fino al 1929), l'incarico di docente di tecnica dell'incisione all'Accademia di belle arti di Napoli (1930-32) e, ancora, le nomine a membro dell'Accademia di arti, lettere e archeologia di Lecce nonché della Società nazionale di scienze, lettere e arti di Napoli.
Il Galante proseguiva, intanto, una vivace attività espositiva, partecipando, tra l'altro, alle mostre del Novecento allestite da Margherita Sarfatti in varie città d'Europa sul finire degli anni Venti (Il premio Bergamo, 1993); a quelle del Politecnico di Napoli, dove nel 1931 era presente con una personale; alla III Mostra del Sindacato fascista di belle arti della Campania (1932) e alla prima edizione del premio Bergamo (1939).
Negli anni Trenta il Galante ricevette alcuni prestigiosi incarichi ufficiali, quali la decorazione del soffitto del teatro Mercadante di Napoli (1936), con un'allegoria della città, e la facciata del padiglione dedicato al lavoro italiano in Africa alla Mostra d'Oltremare di Napoli (1940), cui più tardi si sarebbe aggiunto l'affresco Le nozze di Anfitrite con Poseidone (1953) per il soffitto del teatro di corte nel palazzo reale di Napoli.
Nel dopoguerra l'artista superò le forme levigate della sua produzione immediatamente precedente. In dipinti degli anni Cinquanta (quali Sera a S. Lucia, Giubbetto viola, Puglia e I tetti, opere riprodotte in Limoncelli, 1965), sia pure con una diversa accensione dei colori, talora ridondante, egli tornò, infatti, alla tecnica a pennellate multiple della sua fase giovanile, concordemente ritenuta la più interessante (Menna, 1965; Ricci, 1981, p. 84; Salvatori, 1992, p. 901).
Il Galante morì a Napoli il 15 marzo 1972. | di Amarilli Marcovecchio © Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani