Lorenzo Bartolini🎨's "Fiducia in Dio" is the artist's best-known work and, more generally, is emblematic of Italian sculpture🎨 in the generation after Canova🎨. The model recalls Canova🎨's Mary Magdalen, but the work is more indebted to the observation of nature than the influence of the antique. It typifies the move towards a softer Neo-classicism which made way for Romanticism in Italian sculpture🎨.
The piece was commissioned by the Marchesa Rosa Poldi Trivulzio as a domestic memorial to her late husband. It was first exhibited in the artist's studio in Florence, before being shown at the annual exhibition held at the Accademia di Brera in 1837, to great acclaim.
Essays and odes were written in praise of the piece and the model became a commercial as well as an academic success.
A number of copies and reductions were produced after the original. The present model is a very fine copy in slightly reduced dimensions, which was produced in the artist's workshop, most probably in the 1840s. | © Sotheby’s
La "Fiducia in Dio" è l’opera più celebre dello scultore Lorenzo Bartolini🎨 (1777-1850). L'opera, realizzata nel 1835 per la contessa Rosa Trivulzio Poldi (madre di Gian Giacomo fondatore della casa-museo Poldi Pezzoli di Milano), la "Fiducia in Dio" è un capolavoro dell’arte purista in cui si fondono classicismo e naturalismo.
La contessa rimasta vedova nel 1833, commissionò quest’opera a testimonianza del suo abbandonarsi alla fede in seguito alla perdita del marito.
La scultura di Lorenzo Bartolini ispirò nel 1837 al poeta italiano Giuseppe Giusti (1809-1850) il sonetto:
La fiducia in Dio - Statua di Bartolini
Quasi obliando la corporea salma,
Rapita in Quei che volentier perdona,
Sulle ginocchia il bel corpo abbandona
Soavemente, e l’una e l’altra palma.
Un dolor stanco, una celeste calma
Le appar diffusa in tutta la persona,
Ma nella fronte che con Dio ragiona
Balena l’immortal raggio dell’alma;
E par che dica: se ogni dolce cosa
M’inganna, e al tempo che sperai sereno
Fuggir mi sento la vita affannosa,
Signor, fidando, al tuo paterno seno
L’anima mia ricorre, e si riposa
In un affetto che non è terreno.
Rapita in Quei che volentier perdona,
Sulle ginocchia il bel corpo abbandona
Soavemente, e l’una e l’altra palma.
Un dolor stanco, una celeste calma
Le appar diffusa in tutta la persona,
Ma nella fronte che con Dio ragiona
Balena l’immortal raggio dell’alma;
E par che dica: se ogni dolce cosa
M’inganna, e al tempo che sperai sereno
Fuggir mi sento la vita affannosa,
Signor, fidando, al tuo paterno seno
L’anima mia ricorre, e si riposa
In un affetto che non è terreno.