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Mosè Bianchi | Genre/Macchiaioli painter

Mosè Bianchi (Monza, 1840-1904) was an Italian painter and printmaker.
Bianchi's family moved from Monza to Milan and he enrolled at the Brera Academy.
Having interrupted his studies to serve in the second war of independence, he returned to attend the school of painting directed by Giuseppe Bertini.


Mosè Bianchi - Statua a Monza

The award of a grant in 1867 enabled him to visit Venice and then Paris in 1869.
He took part with some success at the Brera exhibitions and the Vienna Exhibition of 1873.
It was in this period that he began to paint genre scenes in 18th-century settings and numerous portraits, soon becoming one of the artists most in demand with the Milanese middle classes.

He returned to Venice in 1879 and visited Chioggia for the first time.
Both places were to be featured also in later years in a series of intense views exhibited at exhibitions in Milan and Venice alongside Genre scenes, views of Milan and landscapes of the countryside around Gignese.


Among his main works were a Monaca di Monza and a Milton exhibited in 1877 in Naples.
In 1878, he exhibited in Paris a portrait of his father, a portrait of Signora Ponti, and I Chierici in Processione (Clerics in Procession)
In 1881 in Milan, he exhibited: Burrasca nel Golfo di Venice;

In 1884 in Turin, he exhibited: Canale di Chioggia;
In 1887 Venice, he exhibited five canvases: Mascherata Chioggiotta; Laguna in burrasca; Chioggia; Parola di Dio, and Vaporino di Chioggia.


Bianchi was a contemporary of Il Macchiaioli, a proto-Impressionist movement centered around Florence.
Bianchi seems to have spent his career in the Milan and Venice areas, so while he was surely aware of the Macchiaioli, he wasn't active in the group. But his style of painting strikes me as being in the same spirit.


























Bianchi, Mosè - Figlio di Giosuè (n. Monza 20 giugno 1806, m. ivi 9 sett. 1875, ritrattista di carattere accademico, compositore di quadri sacri e maestro di pittura), nacque a Monza il 13 ott. 1840.
A sedici anni era già iscritto a Brera, dove seguì i corsi di disegno architettonico del viennese F. Schmidt, quelli di scenografia e prospettiva di L. Bisi, di disegno e ornato di G. Sogni e di L. Bernacchi, meno intonandosi alle rigide norme "viennesi" del corso di paesaggio dell'austriaco A. Zimmermann.

Dopo la seconda guerra d'indipendenza, cui aderì come volontario, senza tuttavia aver occasione di parteciparvi in modo attivo, si ambientò meglio nel nuovo clima artistico di Brera, dove col 1859 venivano create due nuove cattedre di pittura, dell'Hayez e del Bertini.


La sua significativa preferenza per la scuola del secondo, di cui divenne allievo prediletto, è indice del nascente temperamento pittorico del Bianchi, che cominciò ad affermarsi alle mostre di Brera fin dal 1862, esordendo nell'impegnativo genere storico-romantico ancora di moda, con l'animata composizione L'arcivescovo Pusterla accusato di tradimento sacrilego dall'arciprete Guandeca (propr. Litta, Milano).

Seguiva, nel 1863,La congiura di Pontida (propr. Rossi da Schio, Monza): ma la spontaneità della sua natura, anelante anche in queste opere a più mosse ricerche formali, coloristiche e compositive, e la serietà della sua preparazione meglio risaltano nella prima opera sacra di maggior respiro, la pala della Comunione di s. Luigi Gonzaga per la chiesa di Albino, esposta a Brera nel 1864.


Quasi spontaneo fiorì, dall'ambiente e dalle figure di questo suo primo quadro sacro, quel genere di amabili aneddoti di sagrestia che, a partire dalla Vigilia della sagra, anch'esso del 1864 (Accademia di Brera), consacrò la fama nascente del B., e definì le sue caratteristiche con la nota serie dei "chierichetti" e delle "sagrestie", soggetti trattati anche in seguito dal B. in gustose varianti.

Negli anni seguenti tornava però a nuovi stimoli tardo-romantici, con la Signora di Monza e con la Cleopatra, del 1868, entrambe replicate anche più tardi (Gallerie d'arte moderna di Milano e di Torino).


Nel 1864 con un breve viaggio a Firenze ed a Roma il Bianchi tese ad allargare i suoi orizzonti culturali, cosa che poté far meglio nel 1866, grazie al Pensionato Oggioni, guadagnato col quadro Lavisione di Saul, che gli consentì di soggiornare a Venezia e a Parigi.
Quivi soprattutto lo impressionò lo spigliato pittoricismo neo-settecentesco del Fortuny, nonché il figurativismo squillante del Meissonnier, che fruttificarono in tutta una serie di scenette settecentesche, assai care al mercante Goupil, che ne mantenne l'accaparramento anche dopo il ritorno del B. in Italia.

In patria, come saggio finale del Pensionato Oggioni, egli presentava una delle sue prime opere veramente personali, La lettrice (1867, Accademia di Brera), alla quale seguivano I fratelli al campo (1869, Pinacoteca di Brera) - intitolato in origine Ricordo di Venezia per rievocare la sfortunata guerra del 1866-e la Benedizione delle case, del 1870.


In queste opere appare messo a miglior frutto, con più serio impegno compositivo ed espressivo, quel frizzare di pennellata che riscatta tante sue scenette di Genere.
Ma più definiti intenti di pura ricerca pittorica maturano nel decennio a partire dal 1870, a base di vivaci ricerche d'impostazione cromatica e tonale. Proprio del 1870, infatti, è quel vero capolavoro, quasi ricerca impressionistica avanti-lettera dei rapporti fra figure e luce-tono, attuato nella Uscita di chiesa (propr. M. Innocenti, Milano).


Del decennio seguente è l'impegnativa serie delle "lavandaie", con tipiche ricerche di sintesi naturalistica, di cui l'esempio più noto sono Le lavandaie della Galleria d'arte moderna di Milano.
Ma non mancano in questo periodo una nuova versione della Vigilia della sagra, su sfondo di portico aperto, una nutrita serie di "chierichetti" che culmina nel Ritorno dalla sagra del 1877 (Gall. d'arte moderna di Milano), di quadretti di genere, e quel gruppo di più calibrati e poetici interni di chiese, dove sempre sembra affiorare il ricordo del bel duomo della sua città, di cui l'esempio più noto è L'interno del duomo di Monza, esposto a Brera nel 1874 e acquistato dal re del Belgio.


Intorno agli stessi anni sono le migliori prove del Bianchi ritrattista che, dai ritratti giovanili (1868-70 circa) del nipotino e poi allievo prediletto Pompeo Mariani, al ritratto del padre e a quello della marchesa Ponti, esposti a Brera nel 1874, dagli autoritratti alla serie dei ritratti per la moglie Carolina, sposata nel 1870, testimoniano d'un artista, se non psicologista, sempre dedito a raffinate ricerche tonali.

Più impegnativa l'opera affidatagli intorno al 1877: affrescare i tre saloni terreni della villa Giovannelli di Lonigo nel Veneto.
Proprio attraverso questo lavoro, risolto con quasi fatali reminiscenze tiepolesche, egli trovò l'impulso per riaccostarsi all'ambiente di Venezia, e soprattutto di Chioggia, che doveva offrire una svolta significativa alla sua carriera pittorica.


Il lombardo Bianchi, che non conosceva altro ritmo d'acqua che quello delle pigre rogge di Monza punteggiate di lavandaie dal gesto calmo e pieno, divenne, per inattesa comprensione della più intima sostanza della vita chioggiotta, del suo mare e della sua gente, il più frizzante e poetico "marinista" del nostro Ottocento.

Una sua prima Laguna in burrasca comparve a Brera nel 1879, ma la sua vera rivelazione si ebbe all'Esposizione di Torino l'anno dopo, specie con una grande, ribollente Burrasca, acquistata in Inghilterra che, se scandalizzò il pubblico non abituato a simili "modernismi", si acquistò l'ammirazione dei competenti, fra cui A. Fontanesi e D. Morelli.


Motivi prediletti, per le possibilità di ricerca pittorica che offrivano, il mare in burrasca, la lotta dei pescatori per tirar in secco le barche, le traversate in laguna, le larghe visioni di porti e imbarcaderi, s'intrecciano con accenti personalmente canalettiani o guardeschi, o più francamente Impressionistici: e basterà ricordare Porto s. Felice a Chioggia e Traversata in Laguna, della Galleria d'arte moderna di Milano, o Imbarcadero a Chioggia della coll. Cartotti di Lessona.

Un ordine affine di ricerche pittoriche, sul filo d'una pennellata compendiosa e carica di fermenti, il Bianchi perseguì nella serie di vedute, e specialmente di inverni milanesi, che formano, insieme con le marine, la parte più vitale della sua opera dopo il 1879-80 (gli esempi più nutriti si trovano nella Galleria d'arte moderna e nella raccolta Zanoletti di Milano).

La sua comprensione della temperie lombarda, della vita brulicante d'una città perpetuamente lievitante fra pioggia, nebbia e neve disciolta in pozzanghere, sa farsi pittura e poesia al di là di qualsiasi spunto descrittivo o aneddotico, e la pennellata spensierata del seguace di Fortuny diventa adulta e consapevole d'una specifica ricerca di "valori".
Non mancano, tuttavia, anche in questo periodo, ritorni a motivi giovanili, come quella Parola di Dio del 1887 (Gall. naz. d'arte moderna, Roma), che è forse l'ultimo interno di chiesa del Bianchi.


Intorno al 1890, con le villeggiature a Gignese sul lago Maggiore, inizia una nuova serie di vedute di montagne e pastori, di più greve pittoricismo, dove l'artista tenta d'intonarsi al solido naturalismo lombardo a lui poco congeniale. Il miglior B. restava quello delle giovanili "lavandaie" o dei più liberi e compendiosi spunti dal vero, come il Lavoro della terra della collez. Vernocchi di Gallarate, del 1887.

Negli anni estremi poi parve abbandonare la sua briosa concezione del vero, per più classiche ricerche di forma, come nel Bagno pompeiano, nella Mandolinata (1897, propr. Treccani degli Alfieri), in Prima del duello (1894), estrema ripresa del genere settecentesco.


Ma ben più conta, per un'esatta valutazione del talento del B., un lato quasi ignorato della sua attività, quello del disegnatore geniale tutto semplificazione delle cose - quale risalta, per esempio, nella serie di album della Civica Raccolta Bertarelli al Castello Sforzesco di Milano - e dell'acquafortista, un lato fino a oggi quasi dimenticato, ma ora rimesso in valore dalla ristampa di trentacinque rami originali dell'antica calcografia A. Fusetti curata dai suoi nuovi proprietari.

La prima acquaforte del B. è tratta dalla Vigilia della sagra del 1864 e altre furono stampate nel 1872 a Parigi da Alphonse Cadart; la pratica dell'acquaforte, con accanite ricerche tecniche e creative, per mettere a fuoco motivi fine a se stessi, anche al di fuori della riproduzione dei suoi quadri, lo accompagnò per tutta la vita.


Vita di duro studio e tormento, nell'apparente facilità di un'arte che non temeva di piacere, ma che riusciva sempre a dispiacere ai conformisti della pittura: tanto che gli mancarono quasi riconoscimenti ufficiali e accademici.
Solo nel 1898, ormai malfermo in salute, si decise ad accettare la cattedra all'Accademia Cignaroli e si trasferì a Verona. Ma pochi mesi più tardi lo colpiva una paralisi, che lo tolse ben presto al lavoro. Morì a Monza il 15 marzo 1904.


Il fratello Gerardo nacque a Monza il 9 nov. 1846; è stato qualche volta confuso con Mosè, non solo per affinità di temperamento, ma anche per un consimile semiromantico eclettismo d'accenti e di motivi.
Frequentò al pari di lui l'Accademia di Brera, così che, specie attraverso l'insegnamento di G. Bertini, poté assimilare quel tanto d'amabile naturalismo paesistico e figurativo, tipico della pittura lombarda tra l'Ottocento e il Novecento.

Pur trattando motivi paesistici, temi rurali e di genere, ed anche il ritratto, meglio egli si definì con un'apprezzata produzione di fiori e di nature morte; anche sull'esempio del padre Giosuè, coltivò la miniatura su avorio e su smalto mentre fu tra i primi a interessarsi con più decisi intendimenti d'arte alla fotografia: come tale godette anzi particolare rinomanza.


Come pittore non molto si fece conoscere, invece, oltre la cerchia locale.
Per questo, a parte qualche buon ricordo del suo ambiente monzese e familiare, il suo nome compare solo, senza particolare rilievo in qualche repertorio.
Morì a Monza il 30 sett. 1922. | di Ugo Nebbia, © Treccani, Enciclopedia Italiana.