Giulietta: - "Oh! Come entrasti tu qui? Ed a qual fine? I muri che circondano questo giardino sono ardui, e pressoché inaccessibili; ed il luogo in cui stai ti sarà tomba, se alcuno de' miei ti sorprende".
Romeo: - "Coll'ali dell'Amore valicai l'altezza di que' muri, ché barriera non v'ha al prepotente Amore: tutto che Amor può tentare, Amor l'osa; onde a' tuoi non ebbi riguardo allorché qui venni"…
William Shakespeare: Giulietta e Romeo, Atto II° scena II°
“Non esiste mondo fuor dalle mura di Verona”... William Shakespeare
A Verona, al numero 23 in via Cappello, sorge la casa in cui abitò la Giulietta Capuleti, l'eroina della tragedia romantica dei due giovani amanti, Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti di William Shakespeare Romeo e Giulietta, 1597.
L'antica casatorre, risalente al XIII sec., fu a lungo proprietà della storica famiglia dei Dal Cappello, il cui stemma è scolpito sull’arco interno del cortile.
L’identificazione dei Cappello con i Capuleti ha dato origine alla convinzione che lì sorgesse la casa di Giulietta.
Danneggiati dai secoli, gli interni ed il cortile sono stati restaurati nel 1935 da Antonio Avena ed oggi possiamo conoscere i luoghi dell'amore eterno, la raffinata eleganza degli affreschi che impreziosivano le pareti in cui risaltano, nella loro austera semplicità, cassapanche intarsiate, camini in mattoni, scale in legno con balaustre e camminatoi.
L'arrivo al cortile, è preceduto dal passaggio attraverso un portico di ingresso di epoca gotica, le cui mura accolgono migliaia di graffiti sotto forma di cuori, date, dediche di fidanzati che lasciano il loro segno d'amore verso la propria dolce metà.
Una volta raggiunto il cortile della casa di Giulietta, è possibile ammirare l'edificio con le sue antiche mura a vista e le finestre ad arco acuto e trilobate del tardo Quattrocento che rievoca il fascino dell'epoca medievale.
Nella parte frontale spicca il balcone più famoso del mondo da cui, secondo la tradizione, Giulietta si affacciava per parlare con il suo dolce Romeo Montecchi.
Ma soprattutto, l'occhio è catturato dalla statua di bronzo di Giulietta Capuleti ed una lapide su cui sono riportati dei versi della tragedia di Shakespeare.
La giovane appare in forma slanciata e in età adolescenziale, così come l’abbiamo conosciuta nella vicenda.
Plasmata nel 1972 dallo scultore Veronese Nereo Costantini, la statua è stata collocata nel cortile dai primi anni settanta.
Nereo Costantini (13 novembre 1905, Nogara - 5 agosto 1969, Verona) è stato uno scultore Italiano.
Dall'età di 17 anni il padrone di casa gli diede un'istruzione presso l' Accademia di belle arti "Gian Bettino Cignaroli" nel capoluogo di provincia di Verona.
Costantini fu invitato alla Biennale di Venezia nel 1938.
Trasferisce poi il suo studio nel quartiere San Procolo di Verona, dove esegue commissioni per varie chiese veronesi. È stato invitato alla VIII Quadriennale di Roma nel 1959 ed alla 9a Quadriennale nel 1965. Costantini lavorò anche come medagliato.
Costantini è l'autore della statua in bronzo di Giulietta Capuleti davanti alla Casa di Giulietta a Verona.
La statua alta 2,65 m è stata eretta nel 1972 dal comune di Verona e da allora è oggetto molto fotografato dai turisti. Dal 2014, per motivi di conservazione, l'originale è stato sostituito da una copia.
William Shakespeare - Giardino dei Capuleti | Atto Secondo - Scena Seconda
Romeo si fa avanti.
ROMEO
Ride delle cicatrici chi non è mai stato ferito.
(In alto appare Giulietta.)
Ma, piano, quale luce erompe da quella finestra?
È l’oriente, e Giulietta è il sole! Oh, sorgi bel sole,
e uccidi la luna invidiosa che è già malata e pallida di rabbia,
perché tu, sua ancella, di lei sei tanto più bella.
Non servirla più, quell’invidiosa: la sua vestale
porta il malsano costume verde indossato solo dai buffoni.
Gettalo via! Oh, se sapesse che è la mia donna,
il mio amore! Oh se lo sapesse!
Ella parla, pur senza dire parola. Com’è mai possibile?
Sono i suoi occhi a parlare, e io risponderò loro.
Sono troppo ardito. Non è a me che parla.
Due tra le stelle più luminose del cielo, dovendo assentarsi,
supplicano i suoi occhi di voler brillare
al loro posto sin che abbiano fatto ritorno.
E se i suoi occhi fossero in quelle sfere,
e le stelle sul suo volto? Le sue guance luminose
farebbero allora vergognare quelle stelle,
come il giorno fa impallidire la luce di una torcia.
E i suoi occhi, in cielo, scorrerebbero nella regione dell’aria
con un tale splendore che gli uccelli,
credendo finita la notte, riprenderebbero a cantare.
Guarda come appoggia la guancia alla sua mano:
potessi essere io il guanto di quella mano,
e poter così toccare quella guancia!
GIULIETTA
Ahimè!
ROMEO
Ma parla…
Oh, dì ancora qualcosa, angelo splendente,
così glorioso in questa notte, lassù, sopra la mia testa,
come un messaggero alato del cielo quando abbaglia
gli occhi stupiti dei mortali, che si piegano all’indietro
per guardarlo varcare le nubi che si gonfiano pigre,
e alzare le vele nel grembo dell’aria.
GIULIETTA
Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?
Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome,
oppure, se non vuoi, giura che sei mio
e smetterò io d’essere una Capuleti.
ROMEO
Devo ascoltare ancora, o rispondere subito?
GIULIETTA
È solo il tuo nome che m’è nemico, e tu sei te stesso
anche senza chiamarti Montecchi. Cos’è Montecchi?
Non è una mano, un piede, un braccio, un volto,
o qualunque parte di un uomo. Prendi un altro nome!
Cos’è un nome? Ciò che chiamiamo rosa,
con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo,
così Romeo, se non si chiamasse più Romeo,
conserverebbe quella cara perfezione che possiede
anche senza quel nome. Romeo, getta via il tuo nome,
e al suo posto, che non è parte di te, prendi tutta me stessa.
ROMEO
Ti prendo in parola.
Chiamami amore e sarà il mio nuovo battesimo:
ecco, non mi chiamo più Romeo.
GIULIETTA
Chi sei tu che così avvolto nella notte
inciampi nei miei pensieri?
ROMEO
Con un nome non so dirti chi sono:
il mio nome, sacra creatura, mi è odioso
in quanto tuo nemico.
L’avessi qui scritto, strapperei la parola.
GIULIETTA
Ancora le mie orecchie non hanno bevuto
cento parole della tua voce, e già ne riconoscono il suono.
Non sei tu Romeo, un Montecchi?
ROMEO
Né Romeo né Montecchi, amor mio, se ti dispiacciono.
GIULIETTA
Dimmi come sei arrivato qui, e perché?
I muri del giardino sono alti, difficili da scalare,
e questo posto, col nome che porti,
significa morte per te, se mai ti trovassero.
ROMEO
Sulle ali leggere dell’amore ho superato queste mura:
non ci sono limiti di pietra che possano impedire il passo all’amore,
e ciò che l’amore può fare, l’amore ossa tentarlo.
Ecco perché i tuoi parenti non mi possono fermare.
GIULIETTA
Se ti vedono ti uccideranno.
ROMEO
Ahimè, c’è più pericolo nei tuoi occhi
che in venti delle loro spade. Guardami con dolcezza
e sarò corazzato contro il loro odio.
GIULIETTA
Per tutto il mondo, non vorrei ti vedessero qui.
ROMEO
Ho il mantello della notte per nascondermi ai loro occhi,
ma se tu non mi ami, lascia pure che mi trovino qui.
Preferirei che la mia vita finisse per il loro odio
che prorogare la morte senza il tuo amore.
GIULIETTA
Come hai fatto a scoprire questo luogo?
ROMEO
È stato l’amore che per primo mi ha spinto a cercarlo.
Lui mi ha prestato consiglio, io gli ho prestato i miei occhi.
Non sono certo un pilota di nave, ma se tu fossi lontana da me
quanto quella vasta spiaggia bagnata dal mare più lontano,
io mi ci avventurerei per una merce così preziosa.
GIULIETTA
Sai che la maschera della notte è sul mio viso,
altrimenti un rossore verginale tingerebbe le mie guance
per ciò che m’hai sentito dire stanotte.
Davvero, vorrei rispettare le forme, davvero, davvero cancellare
ciò che mi è uscito di bocca, ma ormai, addio cerimonie!
Mi ami davvero? So che mi dirai di sì
e che io ti crederò.
Ma so che se anche giuri potresti ingannarmi.
Giove, dicono, sorride agli spergiuri degli amanti.
Perciò, dolce Romeo, se mi ami, dillo davvero,
oppure, se credi che con troppa facilità
mi sia lasciata vincere, farò la ritrosa e la cattiva,
dirò dei no, così tu potrai corteggiarmi;
ma non lo farei altrimenti, per niente al mondo.
In verità, bel Montecchi, sono troppo innamorata,
e tu pensa pure che io sia troppo leggera, ma vedrai, mio gentile,
mi dimostrerò più sincera di quelle più esperte nel far le ritrose.
Avrei dovuto mostrarmi più cauta, lo ammetto,
ma d’altra parte, prima che me ne rendessi conto,
tu hai sentito la mia ardente confessione d’amore;
quindi, scusami, e non attribuire la mia troppo facile resa
alla leggerezza di questo amore che l’ombra della notte
ti ha rivelato.
ROMEO
Giulietta, per quella sacra luna lassù, che copre
d’argento le cime del frutteto, ti giuro…
GIULIETTA
Oh, non giurare sulla luna, la luna incostante,
che ogni mese cambia la sua orbita
se no il tuo amore sarà altrettanto mutevole!
ROMEO
Su cosa dovrò giurare allora?
GIULIETTA
Non giurare per niente, o se vuoi, giura
su te stesso, il dio che il mio cuore idolatra,
e ti crederò.
ROMEO
Se il sacro amore del mio cuore…
GIULIETTA
No, non giurare. Anche se ho gioia di te,
questo patto, stanotte, non mi dà gioia:
è troppo rischioso, spericolato, improvviso,
troppo simile al lampo, già passato prima che uno
possa dire “lampeggia”. Mio caro, buona notte!
Questo bocciuolo d’amore, maturandosi al soffio dell’estate,
sarà forse un fiore stupendo quando ci rivedremo.
Buona notte, buona notte. Dolce riposo e pace
scendano sul tuo cuore, come quelli che ho nel petto.
ROMEO
Ah, mi lascerai così, insoddisfatto?
GIULIETTA
E che soddisfazione vorresti, stanotte?
ROMEO
Scambiarci la promessa d’un amore fedele.
GIULIETTA
Il mio amore te l’ho già dato prima che me lo chiedessi,
eppure vorrei dovertelo dare di nuovo.
ROMEO
Vorresti riaverlo indietro? E perché mai, amor mio?
GIULIETTA
Solo per esser generosa e dartelo un’altra volta;
in realtà desidero solo ciò che già possiedo.
La mia generosità è sconfinata come il mare,
e come lui è profondo il mio amore: più ne do a te
più ne possiedo, perché sono entrambi infiniti.
Ma sento qualche rumore in casa.
Caro amore, addio.
(La Nutrice chiama dall’interno.)
Subito, cara nutrice - Dolce Montecchi, sii fedele:
aspetta un poco, ritornerò. (Esce Giulietta.)
ROMEO
Oh notte benedetta, felice notte! Temo,
essendo notte, che tutto non sia che un sogno,
troppo dolce e lusinghiero per essere vero…
Giulietta si riaffaccia.
GIULIETTA
Tre parole, caro Romeo, e poi buona notte davvero.
Se l’intenzione del tuo amore è onorevole,
e mi vuoi come sposa, fammi sapere domani,
da qualcuno che cercherò di mandarti,
dove e quando vorrai celebrare il rito,
e io deporrò ai tuoi piedi la mia sorte
e ti seguirò mio signore, per tutto il mondo.
NUTRICE (Da dentro.)
Signora.
GIULIETTA
Arrivo, subito… ma se le tue intenzioni non sono serie,
ti supplico…
NUTRICE (Da dentro.)
Signora.
GIULIETTA
Sì, sì, vengo…
Smetti di tentarmi, e lasciami al mio dolore.
Domani ti manderò qualcuno.
ROMEO
Sull’anima mia!
GIULIETTA
Mille volte buona notte! (Giulietta esce.)
ROMEO
Mille volte cattiva, la notte, ora che manca la tua luce.
L’amore corre verso l’amore come gli scolari fuggono dai libri,
ma amore che lascia amore è andare a scuola con la faccia triste.
Si riaffaccia Giulietta.
GIULIETTA
Ehi, Romeo, ehi! Oh se avessi la voce del falconiere
per richiamare questo dolce falcone!
Chi è prigioniero è rauco e non può alzare la voce,
altrimenti saprei far crollare la caverna dove sta Eco
e far diventare più roca della mia la sua voce d’aria,
a furia di ripetere il nome del mio Romeo.
ROMEO
È la mia anima che chiama il mio nome.
Che dolce suono d’argento ha di notte la voce degli amanti,
come la più languida delle musiche
per l’orecchio che l’ascolta.
GIULIETTA
Romeo.
ROMEO
Mio piccolo falconetto.
GIULIETTA
A che ora domani
dovrò mandarti il mio messaggero?
ROMEO
Alle nove.
GIULIETTA
Ci sarà. Passeranno vent'anni fino ad allora.
Non ricordo già più perché ti ho richiamato.
ROMEO
Lasciami aspettar qui, finché ti tornerà in mente.
GIULIETTA
Lo scorderei, per farti restare ancora qui,
ricordando come amo la tua presenza.
ROMEO
E io resterò qui, per farti ancora dimenticare,
dimenticando ogni altra casa che non sia questa.
GIULIETTA
È quasi mattina, vorrei che te ne andassi,
ma non più lontano del passerino che un ragazzo crudele
si lascia fuggire di mano per poi tirarlo indietro
con un filo di seta, povero prigioniero avvinto da ceppi ritorti,
tanto è geloso, amandolo, della sua libertà.
ROMEO
Sarei felice d’essere quel passero.
GIULIETTA
Anch’io, caro, ma ti ucciderei con le troppe carezze.
Buona notte, buona notte: separarci è un dolore così dolce
che dirò buona notte sino a domani.
(Esce Giulietta.)
ROMEO
Regni il sonno sui tuoi occhi, la pace nel tuo petto.
Fossi io il sonno e la pace per riposare così dolcemente.
Il mattino dagli occhi grigi sorride alla notte accigliata
tingendo con strisce di luce le nubi d’oriente;
l’oscurità, rubizza come un ubriaco, s’allontana
a fatica dal sentiero del giorno percorso dalle ruote di Titano.
Da qui andrò alla cella del mio padre confessore,
per chiedergli aiuto e dirgli della mia cara fortuna. (Esce.)
Romeo and Juliet
Act 2, Scene 2 – Balcony scene
But, soft! what light through yonder window breaks?
It is the east, and Juliet is the sun.
Arise, fair sun, and kill the envious moon,
who is already sick and pale with grief,
that thou her maid art far more fair than she:
be not her maid, since she is envious;
her vestal livery is but sick and green
and none but fools do wear it; cast it off.
It is my lady, O, it is my love!
O, that she knew she were!
She speaks yet she says nothing: what of that?
Her eye discourses; I will answer it.
I am too bold, 'tis not to me she speaks:
two of the fairest stars in all the heaven,
having some business, do entreat her eyes
to twinkle in their spheres till they return.
What if her eyes were there, they in her head?
The brightness of her cheek would shame those stars,
as daylight doth a lamp; her eyes in heaven
would through the airy region stream so bright
that birds would sing and think it were not night.
See, how she leans her cheek upon her hand!
O, that I were a glove upon that hand,
that I might touch that cheek!
JULIET
Ay me!
ROMEO
She speaks:
o, speak again, bright angel! for thou art
as glorious to this night, being o'er my head
as is a winged messenger of heaven
unto the white-upturned wondering eyes
of mortals that fall back to gaze on him
when he bestrides the lazy-pacing clouds
and sails upon the bosom of the air.
JULIET
O Romeo, Romeo! wherefore art thou Romeo?
Deny thy father and refuse thy name;
Or, if thou wilt not, be but sworn my love,
And I'll no longer be a Capulet.
ROMEO
[Aside] Shall I hear more, or shall I speak at this?
JULIET
'Tis but thy name that is my enemy;
thou art thyself, though not a Montague.
What's Montague? it is nor hand, nor foot,
nor arm, nor face, nor any other part
belonging to a man. O, be some other name!
What's in a name? that which we call a rose
by any other name would smell as sweet;
so Romeo would, were he not Romeo call'd,
retain that dear perfection which he owes
without that title. Romeo, doff thy name,
and for that name which is no part of thee
take all myself.
ROMEO
I take thee at thy word:
call me but love, and I'll be new baptized;
henceforth I never will be Romeo.
JULIET
What man art thou that thus bescreen'd in night
so stumblest on my counsel?
ROMEO
By a name
I know not how to tell thee who I am:
my name, dear saint, is hateful to myself,
because it is an enemy to thee;
had I it written, I would tear the word.
JULIET
My ears have not yet drunk a hundred words
of that tongue's utterance, yet I know the sound:
art thou not Romeo and a Montague?
ROMEO
Neither, fair saint, if either thee dislike.
JULIET
How camest thou hither, tell me, and wherefore?
The orchard walls are high and hard to climb,
and the place death, considering who thou art,
if any of my kinsmen find thee here.
ROMEO
With love's light wings did I o'er-perch these walls;
for stony limits cannot hold love out,
and what love can do that dares love attempt;
therefore thy kinsmen are no let to me.
JULIET
If they do see thee, they will murder thee.
ROMEO
Alack, there lies more peril in thine eye
than twenty of their swords: look thou but sweet,
and I am proof against their enmity.
JULIET
I would not for the world they saw thee here.
ROMEO
I have night's cloak to hide me from their sight;
and but thou love me, let them find me here:
my life were better ended by their hate,
than death prorogued, wanting of thy love.