La felicità non è felicità senza una capra che suona il violino, scriveva Marc Chagall 1887-1985, il poeta con ali da pittore, secondo la definizione dello scrittore statunitense Henry Miller (1891-1980).
L'interesse di Chagall per la musica risale al periodo dell'infanzia ed è connesso ai riti della comunità ebraico-chassidica di Vitebsk, di cui la sua famiglia faceva parte con profonda devozione.
Egli era attratto dai canti, dalla musica strumentale e dalle danze dei kletzmerim, i musicisti ebrei che si esibivano nelle feste o nelle cerimonie religiose.
Affascinato da queste esperienze Chagall prese lezioni elementari di canto da un vecchio precettore: "Diventerò cantante, diventerò cantore. Entrerò al Conservatorio", scrisse nella sua autobiografia.
Ma la passione per la danza gli fece ben presto cambiare idea: "Diventerò un ballerino, entrerò... non sapevo dove".
Vicino a casa sua abitava un violinista: "Durante il giorno faceva il commesso presso un mercante di ferramenta; la sera insegnava il violino. Io strimpellavo qualcosa. Qualsiasi cosa fosse, o comunque suonassi, lui diceva sempre, battendo il tempo con lo stivale: Ammirevole! E io pensavo: Diventerò violinista, entrerò al Conservatorio". Divenne invece pittore: "La pittura mi era necessaria come il pane. Mi sembrava come una finestra da cui avrei potuto fuggire, evadere in un altro mondo".
Un mondo in cui serbò per tutta la vita i ricordi d'infanzia, che seppe trasfigurare nelle sue tele: "I miei quadri sono i miei ricordi", affermava spesso.
Il violinista, per esempio, è sì un frammento del suo vissuto, ma soprattutto una figura-chiave del suo linguaggio figurativo, del suo mondo pittorico lirico e visionario, intrisa di pregnanti valori simbolici: quando nel 1920 fu incaricato di decorare la nuova sala del Teatro Ebraico a Mosca, Chagall scelse come figura allegorica della musica proprio un violinista, molto simile a quello che avrebbe dipinto tre anni dopo Il violinista verde.